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Da alcuni anni il mondo della chirurgia (ortopedica e neurologica) è in notevole fermento per la ricerca di procedure chirurgiche sempre meno invasive ai fini del trattamento delle patologie della colonna vertebrale in generale e delle ernie del disco in particolare.

 

Un grande passo avanti è stato fatto alla fine degli anni ’60 quando vi fu la diffusione del trattamento con il microscopio operatorio delle ernie discali ed iniziò la obsolescenza della tecnica chirurgica ortopedica macroscopica (ovvero senza l’utilizzo del microscopio operatorio).

Oggi si vanno affermando sempre più le procedure chirurgiche percutanee ed endoscopiche nel campo specifico.

La PLDD (Percutaneous Laser Disc Decompression) si inserisce proprio in tale contesto. Il Prof. Daniel S.J. Choy della Columbia University di New York è stato l’inventore della PLDD a metà degli anni ’80, quando ancora la procedura era in fase sperimentale e la Food and Drugs Administration (FDA) Americana (della quale è ben conosciuta la serietà e rigidità) si accingeva a “passarla al setaccio” per approvarla o meno nell’uso clinico corrente; ciò avvenne, in senso positivo, nel 1991. Da quella data la PLDD ha subito continue e graduali evoluzioni ed il Prof. Choy ha eseguito circa 3000 PLDD
trattando ernie discali cervicali, toraciche e lombari.

Le caratteristiche principali e peculiari della PLDD sono numerose: per la sua esecuzione si utilizza l’anestesia locale (da non confondere con la anestesia spinale nella quale il paziente è comunque sveglio ma tutta la parte inferiore del corpo è anestetizzata); è applicabile, oltre che in un ampio gruppo di ernie discali (ma non tutte ed è bene sottolinearlo), anche nelle protrusioni discali (esse rappresentano una sorta di iniziali ernie del disco) nelle quali la indicazione chirurgica “classica” non andrebbe posta.

Ciò consente il vantaggio di poter trattare pazienti affetti da patologie che rappresentino un aggravio di rischio in condizioni di anestesiagenerale così come pazienti anziani.

Le protrusioni discali, anche se anatomicamente definibili – come detto prima – come una forma iniziale di ernia discale, possono essere particolarmente fastidiose e ribelli a numerose terapie conservative farmacologiche o fisiche. Spesso il paziente affetto da questo tipo particolare di ernia si sente come disarmato e senza possibili risoluzioni (le terapie esperite non sortiscono efficacia ed il chirurgo gli conferma la non indicazione chirurgica).

Anche le recidive erniarie post-chirurgiche (e non sono poche !!!) possono giovarsi del trattamento con la PLDD (in tali casi la percentuale di esiti positivi è però statisticamente inferiore: dell’ordine del 70%anziché dell’89%).

La PLDD consente un recupero rapido delle attività quotidiane e lavorative del paziente (solitamente nell’arco di 2-3 settimane) con notevoli risvolti positivi a livello economico-sociale.

La non necessità di incisioni chirurgiche, di scollamento dei muscoli dalle strutture ossee, di asportazione anche se in minima parte di emilamine vertebrali determina l’assenza di problematiche tipiche della “chirurgia classica” come la formazione di aderenze periradicolari, dolori cronici da danno muscolare e, a volte, anche instabilità del rachide con conseguente necessità di reintervento.


Tecnicamente la PLDD consiste nell’introduzione di un ago sottile nella regione lombare che progressivamente deve giungere all’interno del nucleo polposo (esso rappresenta la parte centrale e molle del disco circondato a sua volta da una componente densa detta anulus fibroso) del disco intervertebrale erniato; attraverso l’ago una esile fibra ottica laser viene posta a contatto con il nucleo polposo e si inizia la “laserizzazione” dello stesso.

Il target deve essere raggiunto rispettando rigorosamente alcuni reperi anatomici per non incorrere nella lesione di organi vascolari e viscerali importanti.
Altrettanto importante è il lato dell’approccio e la porzione di nucleo polposo raggiunta in quel determinato caso.

La potenza del singolo impulso laser, il numero di impulsi e la potenza globale erogata nonché le pause tra i singoli impulsi vanno individualizzate e sono estremamente importanti. Il laser determina una vaporizzazione di una piccola quota del nucleo polposo ma, seppur piccola, sufficiente a determinare una netta e marcata riduzione della pressione dell’ernia sul nervo compresso e sofferente.

Da quanto appena detto emerge chiaro come l’obiettivo finale della procedura non è la rimozione anatomica dell’ernia ma la risoluzione di un “conflitto pressorio” tra ernia e nervo (ciò deve essere ben spiegato al paziente). Il paziente deve osservare 24 ore di riposo assoluto.